"Uomini e genti Trentine durante le invasioni napoleoniche 1796 - 1810"
di prof. mons. Lorenzo Dalponte - Edizioni Bernardo Clesio Trento anno 1984
12) Cronistoria giudicariese 1802
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L'anno prometteva bene. II governo capitolare, a conoscenza delle difficili situazioni della maggior parte delle comunità, aveva sollecitato e facilitato la distribuzione di granaglie ai paesi poveri ed aveva autorizzato i comuni a ridurre le “steure”, le contribuzioni ed i dazi.
L'Europa viveva alcuni mesi di pace: Napoleone era impegnato a consolidare il suo trono, a portar ordine in Francia e a non infastidire oltre i Paesi europei.
Ma durante l'estate il flagello della siccità. si abbatte sulle vallate con un caldo torrido che durò da fine luglio a fine agosto, per 33 giorni, senza pioggia. Furono compromessi i raccolti ed anche la fienagione. In ottobre arrivarono le piogge che furono però così frequenti ed abbondanti da essere di danno, in Val Giudicarie, anche alle tre fiere di Tione, cosidette dei “Termini”,
nelle quali i contadini intendevano alleggerire le stalle per il periodo invernale con la vendita di qualche capo e fornirsi di un po' di danaro.
Anche il bando dato ai “tronetti”, cioè alla moneta di metallo dichiarata fuori corso, mise in angustia vari settori della vita economica. Chi aveva debiti, correva a pagarli con questi pezzi prima che scadessero in valore, ed i creditori li accettavano naturalmente molto malvolentieri. I commercianti poi ed anche i semplici bottegai, per non incassarli, raddoppiavano il prezzo delle merci. Il disagio fra la gente fu grande perché per il momento non c'era altra moneta minuta all'infuori dei “tronetti”.
L' anno 1802 segno inoltre la fine del Principato Vescovile di Trento. In novembre entrava in città il Conte Ferdinando di Bissingen con una truppa imperiale di granatieri, e il 12 dichiarava apertamente al Capitolo della Cattedrale che Sua Maestà l'Imperatore lo aveva inviato come Commissario Plenipotenziario ad assumere immediatamente il possesso del Principato di Trento e di tutte le proprietà, sia del Vescovo che del Capitolo stesso, il quale da questo momento doveva considerarsi decaduto da ogni potestà. Al suo posto creava un Consiglio provvisorio di reggenza: terminava cosi i1 secolare governo del Principe Vescovo di Trento nel Tirolo Meridionale.
Copia del 1725 degli Statuti di Cerreto Sannita, con gli stemmi di Casa d'Austria, dei feudatari Carafa e dell'Universitas.
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Arrivò il solenne proclama dell'Imperatore d'Austria, letto il 6 marzo in tutte le parrocchie, con i1 quale si notificava ai sudditi dei Principati di Trento e di Bressanone che l'Imperatore acquistava “il pieno, assoluto ed immediato dominio dei due Distretti e li univa alla restante Provincia del Tirolo”.
“Noi Francesco II, (omessi i titoli e per la grazia di Dio) Annunziamo a tutti i sudditi ed abitanti dei due distretti di Trento e Bressanone di qualunque grado e condizione, senza eccezione veruna, la nostra grazia e ogni bene, e facciamo ai medesimi noto, come qualmente in seguito alla convenzione conchiusa tra Noi e la Repubblica Francese il 26 dicembre 1802, abbiamo occupati e pienamente e immediatamente uniti al restante della nostra fedelissima provincia tirolese, i distretti di Trento e di Bressanone con illimitata superiorità territoriale della quale i diritti principali già prima ci competevano in qualità di conte principesco del Tirolo. Noi dunque ci attendiamo da tutti i sudditi e abitanti d'ambedue i distretti una inviolabile fedeltà ed ubbidienza a gara coi sudditi del restante Tirolo che presteranno a Noi e ai nostri successori ereditari del Trono, come pure alle superiorità da Noi costituite o da costituirsi, tra le quali le fin ora esistenti locali d'ambedue i distretti, fino ad ulteriore nostra suprema determinazione, restano graziosamente confermate.
Con ciò i nostri Fedeli sudditi si renderanno sempre più meritevoli della nostra sovrana protezione e paterna benevolenza della quale li assicurano.
Dato nella Nostra capitale di Vienna, lì 4 febbraio 1803”
Naturalmente il proclama e la conseguente occupazione del Principato suscitarono proteste, discussioni e dissensi in molti settori, che però alla fine non risultarono di alcun effetto. Le popolazioni erano ansiose di uscire da uno stato di incertezza che durava da sette anni e che faceva apparire il passato governo impotente nell'affrontare le tragiche situazioni createsi con le invasioni francesi. L'Austria appariva l'unica forza che potesse opporsi con successo alla boria Francese. E purtroppo si vide ben presto con quali mezzi.
L' autorità militare operò immediatamente e con maggior fermezza di quella civile.
Una delle prime conseguenze fu quella di approntare già nella prima meta di maggio, in ogni comunità, la lista di tutti gli uomini abili alle armi dai 18 ai 50 anni. Si doveva ripristinare la Milizia Provinciale Tirolese, secondo un decreto imperiale del 22 agosto 1802.
Ad ogni comunità venne segnalato il numero dei soldati richiesti, che si dovevano estrarre a sorte tra gli uomini abili. il tradizionale metodo usato d'estrazione e descritto con pochi vivaci tocchi dal notaio Ongari a riguardo della Comuniti di Fisto.
“Lì 23 Maggio nella Piazza qui di Fisto furono posti in bussola tutti i 90 uomini coscritti per la Milizia urbana del Tirolo, e furono estratti a sorte i cinque Fanti, che toccano a questa Comunità per inserirli nel ruolo di detta Milizia.
L'estrazione e riuscita benissimo senza alcuna lagnanza, sconcerto, mediante 90 biglietti simili, piegati, e chiusi in una scatola, che contenevano i nomi e cognomi, e 90 fagiuoli uguali, 85 bianchi, e 5 neri, chiusi in un sacchettino, che si estraevano simultaneamente da due piccioli ragazzi”
Due Consiglieri tenevano la scatola dei biglietti e il sacchetto dei fagioli e li scuotevano ogni volta che uno dei ragazzi estraeva un biglietto, mentre l'altro levava un fagiolo. Il nome del biglietto, cui toccava un fagiolo nero, era destinato per la Milizia. Ai “miliziotti” estratti la Comunità si impegnava a dare a ciascuno dieci “traeri” al giorno, e altri 6 una tantum perché facessero un bel pranzo insieme.
Una novità trovò consensi; l'abolizione di pagare in natura “la decima” che nei secoli passati veniva corrisposta al proprietario dei terreni. Al momento della mietitura si doveva attendere che i “Decimani” a ciò incaricati venissero e si portassero via dal campo la loro quota, che era appunto la decima parte. D'ora in poi si cominciò a pagarla in danaro, il che facilitò i rapporti tra proprietari, locatori e sublocatori.
Fu annata buona per le frequenti piogge. Nota I'Ongari: “Si è fatto un buon raccolto di tutto. Delle noci poi, che per tre anni consecutivi a cagion delle brine non se ne aveva raccolto neppure una, quest'anno per grazia del Cielo vi fu grande abbondanza, e ne fu condotta gran quantità e di noci e di olio anche in Val di Sole ed in Italia”
Lo stemma borbonico si presenta come uno scudo ovale dotato di 19 parti di cui 17 stemmi e due scudi, corredato da una corona posta in alto e dai corollari di sei ordini cavallereschi.
La sua complessità è data dalla sua lunga storia di conquiste e battaglie, di domini e del susseguirsi di famiglie che si sono contese il sud Italia.
Il primo nucleo dello stemma deriva direttamente dagli Angiò (un tappeto di gigli d’oro in campo azzurro sormontato da un rastrello rosso), di cui i Borboni sono discendenti. Lo scudo di Gerusalemme fu portato in precedenza da Federico II di Svevia. Successivamente gli Aragonesi dopo aver scacciato gli Angioini dalla Sicilia pretesero di governare anche sul Regno di Napoli, per cui lo stemma araldico si arricchì anche dei colori della famiglia Aragona.
Con la conquista dei due Regni da parte dei Re Cattolici Isabella di Castiglia e Ferdinando II d’Aragona, lo stemma acquisì le Armi di Castiglia, Leon e Granada. Con la venuta di Carlo V al trono di Spagna, lo stemma si caricò delle Armi di Austria, Borgogna, Brabante, Limburgo e Tirolo.Per la prima volta lo scudo si cinse alla base da un collare: quello del Toson d’oro (istituito nel 1730 dal Duca di Borgogna Filippo il Buono di Valois). Filippo II porterà le Armi di Portogallo, Fiandra e Anversa. Quando Carlo di Borbone riconquistò i Regni di Napoli e Sicilia caricò lo scudo paterno (spagnolo) delle Armi di Parma e di Toscana. All’estremità dello stemma conservò il Toson d’oro a cui aggiunse il collare del Santo Spirito, di cui era insignito, il collare dell‘Ordine Costantiniano di San Giorgio, ed il collare dell’Ordine di san Gennaro, da lui stesso istituito. Infine con il decreto del 21 dicembre 1816 Ferdinando I provvide alla definizione dello stemma che sopravvive e che tutti conosciamo. Nel riordinare lo stemma infine fu aggiunto il collare della Concezione e quello di San Ferdinando e del Merito.
La sua complessità è data dalla sua lunga storia di conquiste e battaglie, di domini e del susseguirsi di famiglie che si sono contese il sud Italia.
Il primo nucleo dello stemma deriva direttamente dagli Angiò (un tappeto di gigli d’oro in campo azzurro sormontato da un rastrello rosso), di cui i Borboni sono discendenti. Lo scudo di Gerusalemme fu portato in precedenza da Federico II di Svevia. Successivamente gli Aragonesi dopo aver scacciato gli Angioini dalla Sicilia pretesero di governare anche sul Regno di Napoli, per cui lo stemma araldico si arricchì anche dei colori della famiglia Aragona.
Con la conquista dei due Regni da parte dei Re Cattolici Isabella di Castiglia e Ferdinando II d’Aragona, lo stemma acquisì le Armi di Castiglia, Leon e Granada. Con la venuta di Carlo V al trono di Spagna, lo stemma si caricò delle Armi di Austria, Borgogna, Brabante, Limburgo e Tirolo.Per la prima volta lo scudo si cinse alla base da un collare: quello del Toson d’oro (istituito nel 1730 dal Duca di Borgogna Filippo il Buono di Valois). Filippo II porterà le Armi di Portogallo, Fiandra e Anversa. Quando Carlo di Borbone riconquistò i Regni di Napoli e Sicilia caricò lo scudo paterno (spagnolo) delle Armi di Parma e di Toscana. All’estremità dello stemma conservò il Toson d’oro a cui aggiunse il collare del Santo Spirito, di cui era insignito, il collare dell‘Ordine Costantiniano di San Giorgio, ed il collare dell’Ordine di san Gennaro, da lui stesso istituito. Infine con il decreto del 21 dicembre 1816 Ferdinando I provvide alla definizione dello stemma che sopravvive e che tutti conosciamo. Nel riordinare lo stemma infine fu aggiunto il collare della Concezione e quello di San Ferdinando e del Merito.
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Dai numerosi decreti emanati dall'Autorità Centrale in questo periodo si ha l'impressione che un nuovo vento di austerità avesse iniziato a soffiare sui due principati, di netta “marca Giuseppina”. L’autorità civile aveva deciso misure “da polizia del buon costume” che sorpresero non poco le popolazioni.
Nella quarta domenica di gennaio fu pubblicato un proclama che proibiva le maschere e i balli, poi seguirono altri editti e regolamenti per la disciplina dei matrimoni, per i1 controllo di tutti i giochi d'azzardo, per l'abolizione di ogni arma da taglio non snodata. Furono sospesi i giudici rurali e introdotte nuove misure amministrative, che iniziarono coll'imporre ad ogni comunità un inventario “di tutti gli uomini, donne, nobili, preti, muli, cavalli, manzi e vacche esistenti nei paesi, di tutte le case e delle eventuali possibilità d'alloggio del militare”.
Verso la fine dell'anno, per ragioni sanitarie, a causa di un' epidemia, quella della febbre gialla che era scoppiata in Ispagna ed aveva fatto strage anche in Italia, specie in Toscana, furono distribuite compagnie di un intero reggimento di soldati, da Rovereto a Riva, Arco, Storo, Condino, Tione, fino al Tonale, per costituire un cordone di difesa. Giorno e notte, nei punti di passaggio, vigilava una guardia che aveva l'obbligo di fermare “ogni persona straniera o
sconosciuta, che venisse da lontano o non avesse l' attestato di sanità”.
“Qui a Fisto - racconta il notaio Ongari – è arrivata una compagnia del Reggimento Neigepover n. 46 ... C'erano anche tre o quattro italiani, e specialmente il Sig. Sargente, che abitava in Casa di Giacomo Chesi Mortasin. Era un certo Sig. Giuseppe Vendel figlio d'un oste milanese, che da 12 anni si era arruolato in Milano nel Reggimento Belgioioso. Tutte Le Feste intervenivano alla Messa circa le otto di mattina, e cantavano in Tedesco i Cantici di Gloria; e vi andavo molto volentieri anch'io, e tanti altri per vederli così puliti, ed in bello ordine, e per sentirli a cantare; il primo che intonava i Cantici era il Suddetto Sig. Sargente, ed una volta gli ha cantati sull'orchestra accompagnati coll'organo, e sotto voce lo accompagnai anch'io facendo da Basso”.
Non capitò alcun fatto straordinario nelle valli durante tutto il 1804 ed anche il pericolo della febbre gialla scomparve con le prime nevicate.