"Uomini e genti Trentine durante le invasioni napoleoniche 1796 - 1810"
di prof. mons. Lorenzo Dalponte - Edizioni Bernardo Clesio Trento anno 1984
11) Bernardino Dal Ponte capitano e comandante
A questo punto della narrazione, volendo ricostruire un panorama storico basato su un'accurata ricerca documentaria, occorre parlare in modo particolareggiato di Bernardino Dal Ponte, perche nei grossi avvenimenti che sono accaduti tra i1 1797 e i1 1810 non è stato un testimone inattivo, ma vi ha partecipato in prima persona, con un ruolo che per alcune settimane s'avvicina a quello del protagonista.
Bernardino Dal Ponte nacque a Vigo Lomaso, in Val Giudicarie, e precisamente a Castel Spine, i1 24 febbraio 1772, da Sebastiano e da Domenica nata Ferrari di Poia. Gli furono padrini di Battesimo due zii, Bernardino e Caterina, fratello e sorella del padre.
La sua famiglia ed i1 parentado sono indicati nei documenti dell'epoca come “feudatari viventi di Castel Spine”, uno di quei castelli-fortezza che la Comunità di Lomaso si era data a propria difesa nel primo Medioevo e che poi cedette ai Conti d'Arco, nel 1206, nella speranza di avere in essi un valido protettore.
II Castello, chiamato dapprima Commendone e poi Spineto e Spine, ebbe una storia travagliata, con ripetuti assedi e distruzioni. Venne ripetutamente ricostruito. Subì un gravissimo danno per il terremoto del 1673, tanto che grosse pietre delle mura rotolarono a valle e piombarono sulla Chiesa di S. Lorenzo, danneggiandola gravemente. Fuori della cinta del Castello sorsero delle case rustiche per il personale di servizio, chiamate Barchi o Stallazzi.
Il 10 febbraio 1753, il Conte Emanuele d'Arco, impossibilitato a sostenere i lavori di riparazione e restauro di cui il Castello necessitava, con un atto steso a Monaco di Baviera, cedette per 1350 Fiorini annui gli urbari dei Castelli di Spine, Drena, Penede, Restoro e Castellino ai fratelli Dal Ponte, e precisamente a don Bernardo, a Giovanni, Domenico, Antonio e Sebastiano, da cui poi traggono origine diverse famiglie.
Più tardi, verso il 1840, anche in seguito a frequenti controversie per il pagamento dell'affitto, il castello fu riscattato dalle famiglie Dal Ponte, chiamate comunemente dalla gente di Vigo “castellani”, non tanto per quel residuo di nobiltà rurale che portavano con se, ma perché abitavano nel Castello e lavoravano la vasta proprietà di campi, prati e boschi che lo circondava, fino alle più lontane località, Ronchi, Fratte e Gazi.
La famig1ia di Bernardino, dunque, formata da sette fratelli e tre sorelle, attendeva come le altre a11avoro della campagna, riscoteva le decime delle terre del Castello affittate ad altri e versava annualmente 1a sua quota in Fiorini al Conte d'Arco.
Bernardino frequentò indubbiamente la scuo1a del paese, giacche era entrato in vigore il decreto di Maria Teresa che imponeva ai minorenni, in ogni comunità, 1a frequenza sco1astica. Doveva funzionare con qua1che discontinuità per 1a povertà di mezzi che non permetteva supp1enze. Dag1i atti della Comunità di Lomaso appare che una vera “scuo1a rego1are, dalla meta di ottobre sino alla metà di aprile per alunni dai 6 ai 16 anni compiuti”,è stata istituita più tardi, con una donazione di 800 Fiorini da parte di don Lorenzo Dal Ponte, arciprete di Smarano, in Val di Non, datata 23 ottobre 1794.
Tra i firmatari accettanti 1a donazione, come Consig1iere della Comunità, appare Bernardino Dal Ponte, probabilmente lo zio. La sua firma invece è riscontrabile con sicurezza in alcuni atti tre anni dopo, nel 1797, come Sindaco della comunità di Lomaso. E’ evidente pertanto che il giovane Bernardino trovo presto consenso e fiducia nella popo1azione. In quel tempo per un incarico pubb1ico come quello di Sindaco occorreva aver compiuto il venticinquesimo anno, e 1ui, nel 1797, ne aveva esattamente 25. Senza dubbio gli giovò i1 fatto di aver in famig1ia lo zio Sacerdote, che non poté non essere il primo maestro d'un nipote sveg1io, volenteroso ed intelligente. Non fu questo però il motivo determinante, come si vedrà.
Sotto i1 profilo culturale, per quanto riguarda lo stile e i1 contenuto dei pochi scritti, dei proclami e delle quietanze che di lui restano come Capitano, e da escludersi che abbia frequentato una scuola superiore, anche se in un rapporto del 10 agosto 1810, inviato da Trento a Milano al Ministero degli Interni del Regno d'Italia, è scritto che il Dal Ponte di professione era “notaio e scrivante criminale», cioè notaio e cancelliere penalista. In realtà più scrivano che notaio. Lo storiografo austriaco Hirn afferma che precedentemente alla insurrezione del 1809 egli era “Umgeldeinnehmen”, esattore delle imposte in quel di Tione.
E che in quel tempo per coprire tali uffici non si richiedevano studi superiori: per ricevere dall'autorità il diploma relativo bastava essere in possesso dei normali requisiti «dello scrivere, leggere e far di conto» e dimostrare una certa abilità affaristica.
L'elezione a Sindaco in così giovane ed e da ascriversi alla stima e alla fama che Bernardino si era guadagnata nelle lotte contro le invasioni francesi del 1796 e 97, con le quali la sua figura era uscita dall'anonimato per assumere precisi contorni di personaggio storico.
Verso la fine dell' anno nei Comuni si rinnovavano gli incarichi, ed in quello di Lomaso la nomina di Sindaco tocco al giovane Dal Ponte appena rientrato dal servizio militare.
Si e già accennato che in quel tardo autunno, dopo la cacciata dei Francesi, gruppi di «forestieri italiani», disertori ed avventurieri turbolenti, si erano nascosti sui monti giudicariesi e scendevano tal volta, specie di notte, per derubare famiglie di case isolate. E quanto avvenne anche tra le ville del Lomaso, ed i1 Dal Ponte, Sindaco da qualche giorno, dovette denunciare al Luogotenente di Stenico alcuni fatti preoccupanti, sollecitando misure idonee sia di difesa che di punizione. E quanto risulta da tre scritti conservati nella Biblioteca Comunale di Trento che qui si riportano. Il primo è una denuncia:
«In giorno di martedì 12 dicembre 1797 avanti al Luogotenente Corradi ecc.!
E comparso i1 signor Bernardino Dal Ponte sindaco del Lomaso, quale denuncia all'Offizio criminale come che in questa notte alle ore dodici sia stata assalita la canonica parrocchiale del Lomaso da tre persone forestiere una delle quali era mascherata, quali dopo aver chiamato i1 rev. Don Gregorio Bottesi cappellano, sotto pretesto di esserci bisogno di amministrare l'olio santo a un infermo ferito, gli apri la porta.
Quali persone colle armi alla mana gli ricercarono i1 denaro e l'argenteria della chiesa, indi dissero di voler parlare al rev. Sig. Arciprete, con aver picchiato all'uscio, e detto signore insospettitosi gridò: - aiuto. Gli assalitori se ne fuggirono avendo solo tolti sei o sette troni al detto Sig. Cappellano».
II secondo è la richiesta di un intervento immediato da parte del Luogotenente di Stenico in un'annata che ha duramente provato le popolazioni.
«In giorno di martedì 12 dicembre 1797 in Castel Stenico sono comparsi i1 Nob. e chiarissimo Sig. Dr. Michele de Prez e il chiarissimo Sig. Giuseppe de Lutti a nome proprio non che delle vicinie di Dasindo, Vigo e Campo Lomaso ed espongono a S.S. Ill.ma che l'attentato commesso colla forza alla casa Lutti, quello seguito giorni sono a Novin pertinenza di Tenno e molto più quello succeduto la notte scorsa nella canonica del Lomaso, con evidente pericolo di essere spogliata la chiesa parrocchiale, se per fortuna non concorrevano gli abitanti della poco distante Villa di Vigo, da questi fatti si deve ragionevolmente temere esposte le sostanze e vite dei particolari, quindi a diversione di simili disordini implorano l'assistenza di V.S. Ill.ma acciò sia rilasciato ben parso proclama acciò ogni particolare debba mettersi sotto le armi in caso di chiamata alle armi, sotto ben parse pene, cosa, che incuterà anche timore agli aggressori, e così scansare gli tremendi disturbi, specialmente in questa annata, che la maggior parte degli abitanti non hanno con che vivere.
Firmati: Prez avvocato anche a nome della sua famiglia abitante in Campo, Bernardino Dal Ponte sindaco del Lomaso, Francesco Castagnari sindaco del Banale
Il Luogotenente si è offerto di informare l'i.r. Consiglio Amministrativo e di procedere a sensi di quanto gli verrà ordinato.
Firmato: Andrea Corradi Luogot. di Stenico».
Nel terzo manoscritto c'è la risposta del Luogotenente di Stenico, che autorizza i Sindaci ad agire immediatamente e con la dovuta energia.
«Proclama d' ordine e comando dell'Ill.mo Andrea Corradi, giudice, capitano e luogotenente di Castel Stenico e sua giurisdizione.
Per prevenire in avvenire qualunque attentato di spoglio e per sicurezza delle persone e delle cose, col tenore del presente, innesivo al sovrano dispaccio, da essere pubblicato nelle forme solite e luoghi consueti, resta accordata la facoltà ai rappresentanti di cadauna comunità, sotto loro responsabilità: nei casi semplicemente istantanei e nei quali non avessero il tempo sufficiente di ricorrere al prossimo comando militare o a questo uffizio onde implorare la assistenza necessaria e conveniente, di eccitare il popolo ad armarsi in massa in caso di qualche attentato, che si volesse praticare da gente fuoruscita ove questa sia in numero tale, che le ordinarie forze della giustizia non vogliano farle resistenza, nel quale caso di necessità, onde armarsi a difesa propria, viene accordato l'uso delle armi; restando però proibito fuori di questo caso, l'uso delle medesime sotto le comminate pene.
Inoltre si commette, e con tutta serietà si comanda a condanna persona atta, di essere pronta ad armarsi ad ogni chiamata dell'i.r. comando militare e di questo Uffizio in caso di bisogno, sotto pena di talleri dieci per cadauna volta e cadaun contraffacente, oltre altre arbitrarie.
Castel Stenico li 21.12.1797 A. Corradi
L'attività di un Sindaco richiedeva capacità e impegno. II Comune di allora, per le libertà di cui tradizionalmente godeva da parte dei tolleranti governi vescovili, era una repubblichetta in minimis con le più svariate funzioni. II Dal Ponte, oltre ad attendere a queste responsabilità, restò pur sempre il Capitano d'una compagnia di bersaglieri volontari, e, quando poco dopo i Francesi tornarono a minacciare i confini meridionali, egli partì immediatamente con i suoi uomini. Dovette convincersi presto che i due incarichi erano incompatibili e non accettò una seconda elezione in quel periodo così inquieto. L'anno che seguì, il 1798, fu un anno abbastanza tranquillo per la nostra terra. Nei primi mesi del 1799 la calma del paese fu nuovamente minacciata da truppe francesi provenienti dalla Svizzera, attraverso la Valtellina e l'alta Val Venosta. Siccome però nel frattempo l'Austria, aiutata dalla Russia, riusciva vittoriosa nella Pianura Padana, i Francesi si ritirarono dal Tirolo rientrando in Isvizzera; ma nel 1800 la guerra sembrò tornare ancora.
Di fatto Napoleone aveva sconfitto il 2 giugno a Marengo gli Austriaci ed occupato Milano e aveva spinto le sue colonne verso Brescia ed oltre. A Tione si rividero dei prigionieri francesi scortati verso Trento dai bersaglieri. II fronte Sud fu pertanto nuovamente in agitazione e con le truppe del Generale austriaco Loudon tornarono a formarsi le compagnie di bersaglieri.
Anche il Capitano Dal Ponte fu nuovamente presente con la sua compagnia, ora in Val Rendena, ora in Val del Chiese. Erano i mesi d'autunno, settembre, ottobre, novembre 1800. «Si può dire che da tre mesi a questa parte - scriveva il notaio Ongari di Rendena siamo sempre stati tra l'incudine e il martello ... In Tione, e contorni sempre truppe, e bersaglieri ora di viaggio verso Storo, ed ora di ritorno, sempre carri e muli a condur paglia, legna e fieno».
La minaccia Francese torna a presentarsi nuovamente dalla Svizzera. II Comandante, Generale Jacques Etienne Macdonald, partì con tre divisioni da Coira, attraverso il passo dello Spluga, da Edolo salì con una colonna al Tonale ma non riuscì and andare oltre Fucine, strenuamente difesa da imperiali austriaci e da bersaglieri. Allora sposto più a Sud le sue truppe e, mentre una divisione avanzava lungo le montagne del Garda, un'altra entrò in Val Giudicarie dal lago d'Iseo.
Si tentò di fermarlo, ma inutilmente, perche la superiorità era schiacciante. II Capitano Bernardino Dal Ponte, dalle alture di Val Vestino, affrontò ancora una volta con 30 uomini una compagnia Francese forte di 250 soldati e la obbligo alla fuga. Ma fu solo una piccola rivincita. Poi il grosso delle truppe francesi e cisalpine travolse ogni altra resistenza e raggiunse Trento il 7 gennaio 1801. II 9 febbraio, a Luneville, fu conclusa la pace fra Austria e Francia e il Generale Macdonald ebbe l'ordine da Napoleone di ritirare tutte le truppe da Trento e dal Tirolo, e di consegnare il governo del Principato nuovamente al Vescovo. Parve che tornasse finalmente un periodo di tranquillità per le nostre popolazioni e che la normalità della vita potesse riprendere.
II Capitano Dal Ponte, che nel frattempo, sciolta la compagnia, s'era ritirato al suo paese, condivise certamente le speranze comuni d'un'epoca di pace e pensò bene a se stesso e al suo personale avvenire.
II 10 agosto 1801 si sposò con una giovane donna di Fiave, Barbara, figlia del defunto Carlo Zanini. Nel libro dei Matrimoni della Chiesa di Lomaso è scritto, in latino: “IIl.mus Dominus Bernardinus, filius defuncti Sebastiani a Ponte, de Castel Spine, alias Capitaneus militiae austriacae”, premesse ed effettuate le tre prescritte pubblicazioni in chiesa, non essendosi rilevato alcun canonico impedimento, alla presenza del sottoscritto parroco Giovanni Tabarelli de Fatis e alla presenza dei testimoni ... “per verba matrimonium contraxit cum Barbara”.
L'anno dopo, e precisamente il 12 luglio 1802, è indicata la nascita della primogenita Teresa “in Castro Spinarum”, su, al castello, e al 13 dicembre 1803 quella di Maria Lucia, battezzata appena nata dall'ostetrica e morta due giorni dopo, il 15 dicembre.
Non risulta che gli siano nati altri figli.
Visse alcuni anni nella sua terra, incaricato dal Governo Vescovile della riscossione delle imposte e di altre pubbliche entrate in quel di Tione, ufficio che veniva di norma affidato a gente riconosciuta integerrima.
Nel 1804 viene ricordato in un atto del notaio Zambotti di Fiavé, come «Imperialis regius centurius Venatorum Tyrolensium», Imperiale regio Capitano dei cacciatori tirolesi.
Ma e nell'anno 1809, cioè durante I'insurrezione contro i franco-bavaresi proclamata da Andreas Hofer, che il Capitano Dal Ponte diventa uno dei protagonisti delle lotte e degli avvenimenti che sconvolgono il Tirolo Meridionale. Egli non solo aderisce immediatamente all'appello di Andreas Hofer, organizzando la sua compagnia: il prestigio di cui gode e tale ormai che lo porta ad essere il Comandante di un gruppo di compagnie.
L'autorità bavarese aveva emesso, il 17 aprile, in Val Giudicarie, l'ordine di chiudere a chiave tutti i campanili perché non si potessero suonare le campane a stormo per la sollevazione della popolazione. Ma questa insorse egualmente e rapidamente. Già il 21, diverse compagnie di Nonesi e Solandri, circa 900 uomini, con tamburi e bandiere, sotto il comando del Maggiore Alessandro Stanchina, erano scese da Campiglio verso Tione e Condino, ed i picchetti francesi si erano ritirati al di la della Rocca d'Anfo.
In poche ore si formarono in Val Rendena quattro compagnie, una grossa compagnia di Giustino e Pinzolo, con gente di Fisto, sotto il comando di Giuseppe Chesi, un' altra di combattenti di Strembo e Caderzone con il Capitano Giovanni Bruti, che partirono per difendere il confine meridionale verso Condino dove erano già accampate alcune compagnie di Giudicariesi, quelle dei Capitani Bertelli, Colini, Cantonati e Dal Ponte.
Mentre reparti dell'esercito austriaco sotto il comando del Colonnello Fenner scendevano per la Valle dell'Adige, numerose compagnie di valligiani insorti avanzavano sulle alture e lungo i fianchi delle montagne al di qua e al di là del fiume.
Una prima accanita battaglia ebbe luogo sull'Avisio e si estese sulla riva destra dell'Adige a Cadine. I Francesi, con il Generale Baraguay d’Hilliers, benché forti di 10.000 fanti, dovettero abbandonare Trento il 22 aprile, e lentamente scesero per la Val Lagarina, fermandosi in terra veronese sulle alture di Rivoli. Trento fu occupata nel pomeriggio del 22 dalle truppe del Colonello Fenner e da circa 10.000 insorti. AI 23 entrò anche Andreas Hofer, che con la sua compagnia di Val Passiria e con l'ausilio di compagnie trentine, aveva liberato dai Francesi il Buco di Vela.
Nel giornale di quei giorni, «Ristretto dei Foglietti Universali», che veniva stampato a Trento da Giambattista Monauni ogni martedì e venerdì, sono pubblicati dei comunicati che hanno la forma e il contenuto di bollettini di guerra. Nel nr. 34 del 28 aprile, il Comando militare segnala:
«Fra le compagnie della Valle d'Annone, che con la loro intrepidezza e con il loro coraggio si sono distinte, merita un particolare elogio quella di Cles, comandata dal Tit. Sign. Barone Giovanni di Cles, il quale sotto gli ordini del Cap. Giuseppe Lorenzoni, dopo un vivo Fuoco che durò circa due ore, prese di assalto Vezzano occupata da numerosa truppa nemica. La sua avanguardia inseguì poscia il nemico che si era ritirato, lo incalzò sino in Buco di Vela, dove rinforzato da nuovi sopraggiunti resistette. I forti di Cles sempre intrepidi, sebbene il nemico Fosse assai più numeroso di loro, lo attaccarono con quel valore che è proprio dei prodi, e la zuffa divenne terribile difendendosi i Francesi valorosamente. Ma chi può resistere a bravi animati dal zelo per la Patria e dall'amore per l'Augusto Sovrano?».
Nel numero seguente, del due maggio, vi sono altri interessanti particolari per la storia trentina:
“Ai 22 dello scorso aprile, all'occasione che le truppe imperiali austriache presero possesso unitamente alla leva in massa di questa città, merita sommo elogio il Sign. Giovanni de Angeli di Cloz nella Valle di Annone della Massa, il quale ebbe il coraggio di entrare con due cacciatori imperiali e con due suoi, il primo, in questa nostra città».
Ed ancora: “I Tirolesi Italiani emular volendo l'eroiche azioni dei suoi confratelli tedeschi, tosto che le truppe Imp. Regie austriache si avvicinarono al Tirolo Meridionale, preser le armi per trattare la causa comune della liberazione della patria ... La massa della Valle di Non, organizzata in compagnie, nella giornata del 23, si avviò verso Arco per attaccare l'inimico ritirandosi sulle alture di Nago e Torbole. Alla sparsasi voce di questa meditata impresa, la popolazione di Arco e villaggi circumvicini, guidata dal Sign. Antonio Mattei, a cui si unì anche quella di Nago e di Torbole, diede di piglio alle armi, e all'avviso avuto dal Sign. Capitano Vecchietti, che nella mattina del 24 avrebbe attaccato colla sua compagnia l'inimico dietro i due rami del fiume Sarca, dove erasi posto dopo averne tagliati i ponti, li bravi Archesi si portarono verso Nago per coprire quella sommità e tagliare a norma del concertato la ritirata all'inimico... I Francesi si ritirarono verso Loppio; in questo luogo, rinforzati da alcune truppe, obbligarono la massa della Valle di Sole e di Arco a ritirarsi da Mori e a prendere posizione intorno al lago di Loppio su vantaggiose posizioni».
Di fatto, l'armata francese difendeva strenuamente e contendeva ogni metro all'avanzata degli imperiali austriaci e dei bersaglieri, sia nella zona di Mori che sulla collina di Volano. Qui si lottò con accanimento e con gravi perdite da ambe le parti. Anche a questo combattimento prese parte A. Hofer con le sue compagnie e per ben due volte, sia il 24 aprile a Volano, come poi a Pilcante, salvò gli imperiali del Col. Leiningen da una batosta che poteva diventare catastrofica.
Andreas Hofer, entrato in Rovereto il 26 aprile, fu accolto trionfalmente dalla popolazione e, con l' appoggio di altre compagnie trentine venute dall'Alto Garda, si spinse fin verso la Chiusa di Verona. n 27 aprile 1809 tutto il Tirolo, dalle vallate dell'Inn fino al lago di Garda, era nuovamente libero. Solo che era vinta una battaglia, non la guerra; questa continuava ancora nel centro Europa e sarebbe presto tornata anche nel Tirolo.
Napoleone con un' armata, nella quale accanto a Francesi combattevano Bavaresi, Italiani, Napoletani e 18.000 Spagnoli, aveva incontrato l'avversario austriaco in Baviera sconfiggendolo in più luoghi.
Vittorioso a Eck mühl, mentre marciava su Vienna, convinto di avere ormai tutta I'Europa sotto il tallone, imparti l'ordine di sedare ad ogni costo la rivolta tirolese con un'armata bavarese dal Nord ed un corpo di spedizione dal Sud.
Allora si rinnovarono le scaramucce lungo le zone di confine tra pattuglie dell'uno e dell'altro fronte in attesa dello scontro decisivo. II 13 maggio, a Ponte Caffaro, i Francesi ebbero 12 uomini morti e alcuni feriti, e furono obbligati a ritirarsi verso Bagolino. II notaio Ongari, Sergente della compagnia Chesi, descrive così una di queste mischie: “
.. Poi abbiam passata la notte con un gran freddo imboscati sul monte sopra Darzo, perché si credeva, che i Francesi stazionati nella Rocca d'Anfo tentassero qualche sorpresa. Al 13 maggio il Sig. Capitano Dal Ponte tolse ai Francesi diversi mobili, stramazzi, paroli, marmitte, oltre il ponte del Caffaro, Ii condusse in Pieve di Bono, ed avendoli colà incantati li 19 detto, ricavò circa tr. 600. Ai 15 da Darzo siamo venuti verso il ponte di Storo; al di là io sono andato a Storo a chiamare il Sig. Capitano Dal Ponte. Dopo tornato al ponte, siamo andati colla Compagnia a tamburi battenti a Darzo, ed essendo giunto poco dopo il Sig. Dal Ponte colla sua Compagnia, a tamburi battenti ci siamo istradati verso il Caffaro ad attaccare il primo picchetto de' Francesi. Dopo un gagliardo Fuoco i Francesi han dovuto cedere, e ritirarsi alla Rocca;
i Sig. Capitani Chesi e Dal Ponte colla loro gente sono andati a Bagolino a due ore di notte; ed io con altro son ritornato a Condino, ed ho avvertito con lettera i Sig.ri Capitani stazionati in Pieve di Bono dell'attacco seguito, acciò anch'essi si avanzassero in soccorso».
Riferisce inoltre I'Ongari che il 18 maggio
«con il Tenente Albertini, il Sig. Tirale alfiere ed io, ed il Cavallaro Buganza siamo andati a Storo, ed abbiamo pranzato dall'oste Stefano Ve1udari in compagnia degli Uffiziali Dal Ponte, tutti ad una tavola».
Come era prevedibile, arriva l' ora dello scontro fatale.
Il 21 maggio, i Francesi risalirono in forze, spingendo davanti a se le varie compagnie, che naturalmente cercavano con ogni mezzo di ostacolare l'avanzata causando loro perdite al Caffaro, tra Cimego e Pieve di Bono. Si parla di 55 morti e di un gran numero di feriti, tanto da caricarne 20 carri, mentre i bersaglieri ebbero un ferito e due dispersi. Ma i Francesi questa volta erano numerosi e risoluti, ed il 22 maggio giunsero a Tione, obbligando le compagnie a cedere terreno e a ritirarsi di continuo.
Quelle dei Cappo Belluta e Bertelli si trincerarono sulle colline di Ragoli, mentre i1 Cap. Dal Ponte si ritira con i suoi fino a Stenico; poi si porta a Riva del Garda, dove assalì 50 Francesi ch'erano appena sbarcati da una fusta. Dovettero reimbarcarsi e prendere frettolosamente il largo «tagliando le soghe e lasciando ivi le ancore». Dalle barche spararono alcuni colpi di cannone senza colpire nessuno; lasciarono a terra alcuni morti e diversi feriti e due ufficiali prigionieri. Con il denaro che questi avevano indosso e la vendita delle soghe e delle ancore gli uomini del Dal Ponte ricavarono tre o quattro crosoni per ciascuno.
II colpo di mano - se non si tratta del medesimo è uno analogo - colse nel vivo l' avversario forse più che una perdita di vite umane. C'è una lettera del Capitano Giorgi, comandante la flottiglia Francese del Lago di Garda, indirizzata alla Municipalità di Trento l'otto agosto da Riva, nella quale si dice: “Nella giornata del 5 giugno scorso gli Insorgenti hanno levato due ancore e diverse gomene. Vengo assicurato che nell'osteria al Sole di codesta città sono state vendute delle gomene”. II Capitano Giorgi prega quindi il Magistrato di Trento di recuperarle. Questi risponde in data 11 agosto di aver trovato “una sola gomena”. Al che il Giorgi, con un secondo scritto del 13, prega di inviarla al Sindaco di Torbole, essendo spesso in perlustrazione sullago ed aggiunge: “Non manco di raccomandarmi nuovamente al Magistrato per vedere di rintracciare le altre corde mancanti che suppongo siano state vendute a Trento”.
Le lettere sono conservate negli “Atti consolari, No 4003” della Biblioteca Comunale di Trento. In data 17 novembre, il Magistrato, nella persona di Luigi Lupis, capoconsole, si cautela contro eventuali recriminazioni con il seguente scritto:
“A Chiunque. Da parte del Civico Consolar Magistrato si certifica a trionfo del vero, che la gomena ricercata dal Signor Giorgi Comandante la Real flottiglia del Lago di Garda non poté essere spedita al Sindaco del Comune di Torbole, com'egli accenna, a motivo che la sponda destra dell'Adige era occupata da Briganti, i quali anche due giorni dopo entrarono in questa città».
Siccome il motivo di molte ritirate delle compagnie era dovuto al fatto che finivano non raramente per essere sprovviste di munizioni, i bersaglieri cercavano, all'occasione, di impossessarsi delle armi dei nemici caduti o di sorprendere l'avversario e derubarlo con qualche audace colpo di mano. II Cap. Dal Ponte, da Riva, fece a questo scopo una sortita contro i Francesi in Val Lagarina e se ne tornò con una carretta di munizioni, con alcuni buoi e cavalli tolti al nemico.
Verso la fine di giugno il fronte Sud sembrava concedere ai contendenti un po' di tregua. Da parte tirolese le difese del confine erano a buon punto e numerose compagnie vigilavano sui punti più strategici; da parte Francese si sapeva bene che la guerra sarebbe stata decisa altrove, e precisamente nel cuore della nazione danubiana, e che pertanto non c'era ragione di forzare la situazione nel Tirolo.
Un avviso stampato in quei giorni a Rovereto in italiano e tedesco, e firmato dal Comandante Militare del Tirolo, Generale Barone de Buol, avvertiva i capitani delle compagnie di stare sulla difesa, di non molestare l' avversario e meno che meno di passare il confine.
Si viveva tuttavia all'erta, perché la lotta poteva riaccendersi all'improvviso. Da Trento, il 23 giugno, pervenne nelle valli Giudicarie un ordine del comando austriaco di preparare la sollevazione in massa di tutti gli uomini dai 16 anni ai 45 e di spedire a Trento la nota delle armi da fornire agli insorti. Si dovevano formare quattro liste degli uomini abili alle armi, ponendo nella prima lista i nubili, secondo le ultime istruzioni per la composizione delle compagnie.
II 29 giugno furono chiamati a Trento tutti i Capitani per discutere la situazione. Rientrando poi alle loro basi, portarono con se l'ordine di licenziare per il momento le compagnie.
Lo stesso Andreas Hofer affrontava qualche giorno dopo un viaggio di ispezione nelle alte vallate trentine. Era stato informato che molti capitani non andavano d'accordo tra loro, più per ragioni di gelosia e di prestigio che per altri motivi, e allora diramò da Fondo una circolare, in data 4 luglio, con la quale invitava le Pievi della Valle di Non e di Sole ad inviare a Revò “per le ore pomeridiane del giorno 6, al palazzo Arsio, un ben parso e patriottico soggetto per discutere affari di somma importanza». Il 7, si recò a Cles accolto trionfalmente dalla popolazione e poi raggiunse San Romedio.
Andreas Hofer continuò nello sforzo di metter un po' d'ordine tra le compagnie dando alcune disposizioni scritte. Da Mezzotedesco (Mezzocorona) inviò il 7 luglio una lettera al pubblico della Valle Rendena, con la quale notificava «di aver nominato come Commissario il Signor Carlo Vigilio di Pinzolo e come Comandante il Signor Cantonati, purché le popolazioni del distretto ne siano d'accordo». In una seconda lettera, datata Merano 10 luglio ed indirizzata al Cap. Cantonati “per ordinanza in tutta fretta”, comunicava: «II sottoscritto Comandante del Tirolo desidera ed è sua volontà che il Signor Capitano si compiacesse di unire la sua Compagnia ed occupare i suoi posti ed invigilare sopra i contorni della Rocca d'Anfo. Finora avemmo ottime nuove, anzi non possono essere più buone, ed in breve si spera di poter mandare gli stampini e che si aprirà la communicazione con l'armata imperiale»
Una terza lettera dell'Hofer arrivò nella notte tra il 16 e il 17 luglio ai Capitani Cantonati, Colini e Chesi con l'ordine di tenersi pronti “per marciare al primo cenno”.
Ne1 frattempo Napoleone aveva sconfitto gli Austriaci a Wagram e nell'armistizio di Znaim (12 luglio) imponeva a tutte le truppe austriache di abbandonare il Tirolo. Il Colonnello Christian Conte di Leiningen, che le comandava, lasciava Trento il 2 agosto, dando ordine anche alle compagnie dei bersaglieri di abbandonare gli avamposti della Valle Lagarina e della Valsugana e di rientrare alle loro case.
Le compagnie rientrarono depresse e malcontente perché si ritenevano tradite, mentre a Trento, il 2 agosto, entrava il Generale francese D' Azmayr. La tregua ebbe breve durata, perché una settimana dopo Andreas Hofer decideva di riprendere da solo la lotta e dopo due giorni di battaglia, alla testa di 17.000 combattenti contadini, riconquistava Innsbruck. Ora era lui il Governatore Generale di tutto il Tirolo. Preoccupato della situazione nel Tirolo Meridionale in mano francese, vi inviava subito come suo Luogotenente il meranese Giacomo Torggler, che alla testa di alcune compagnie raggiungeva in fretta Lavis e la periferia di Trento coll'intenzione di cingere d'assedio la città.
L'ordine di convergere da tutte le valli su Trento per riconquistare la città raggiunse anche le compagnie giudicariesi. E’ questo il momento in cui Bernardino Dal Ponte torna sulla scena come effettivo comandante d'un gruppo di compagnie delle Giudicarie e del Basso Sarca che egli guida verso Vezzano e Baselga. Volendo preparare un'azione militare generale per la riconquista di Trento, si recò a Revò, per concertare un piano comune con i capitani del1a Valle di Non. E da Revò fece pervenire alle compagnie della Rendena l'ordine di marciare su Trento; ma per il momento non ottenne ubbidienza. Venne incaricato allora il Cap. Sebastiano Garbini di Schio di recarsi in Valle Rendena ed assumere il comando di quelle compagnie. Di fatto, il 15 agosto, il Garbini si presento a Spiazzo con molti suoi bersaglieri, spacciandosi come Luogotenente di Andreas Hofer in forza di uno scritto in tedesco, firmato dallo stesso Comandante Supremo, e con l' ordine di organizzare tutte le compagnie possibili e di marciare poi verso Trento.
Il Garbini chiamò immediatamente i Capitani Chesi, Colini e Cantonati ed ordinò ai Sindaci e ai Giudici di Stenico, Tione e Condino di darsi da fare per allestire le compagnie e fornirle delle necessarie razioni di cibo. Lasciata a Tione la compagnia del Capitano Colini per la sicurezza della Valle del Chiese, il 21 agosto si recò a Stenico, accompagnato dalle compagnie Chesi e Cantonati, da dove emise un nuovo ordine per le comunità della Rendena, di allestire un' altra compagnia di 90 “miliziotti”, da inviarsi verso Pieve di Bono. Dapprima i Sindaci ed i Consoli si opposero, ma sotto la pressione del Cap. Colini la compagnia venne poi formata ed inviata al Sud con il Capitano Polini.
Intanto a Trento la situazione per i Francesi si faceva insostenibile.
La massa delle compagnie valligiane premeva ormai sulla città da tutte le parti, da tutte le colline si sparava, tanto che il comando francese decideva di abbandonare la città e ritirarsi verso Rovereto, per non correre il rischio d'essere circondato.
Negli atti consolari del 21 agosto è scritto: “Alle quattro di mattina, su ordine del ministro Caffarelli, la guarnigione franco-italiana si ritirò in ordine e senza rumore da Trento. I consoli costernati nella città indifesa e circondata da armati senza scrupoli stettero a consiglio tutta la notte. All'alba inviarono al di là dell'Adige il procuratore Gerloni con due amici del comandante dei ribelli Dal Ponte per invitarlo a occupare la città e a stabilire l'ordine interno. Arrivò per primo il capitano Angeli da Revò con un' ordinatissima compagnia di Anauni, poi il luogotenente Dal Ponte con la gente delle Giudicarie e di Rendena, onoratissimo perche il Magistrato civico l'aveva nominato governatore militare di Trento”.
Questa è una breve sintesi del cancelliere verbalizzante. Vale la pena tuttavia riesaminare nei dettagli quanto avvenne in quella storica giornata.
Era il 21 agosto 1809. In città la popolazione viveva sotto il terrore delle operazioni di guerra. II Magistrato di Trento,
prima di aprire le porte della città alle compagnie, volle conoscere le intenzioni dei singoli comandanti; assieme ai Consoli decise di rivolgersi anzitutto ai capitani delle formazioni che erano sulla sponda destra dell'Adige e precisamente al Comandante Bernardino Dal Ponte.
Si stabilì dunque di inviare il Procuratore Civico Gaetano Gerloni, accompagnato dai Sigg. Giulio Conte Sardagna, Giovanni Conte Salvotti e Bernardino Agosti, questi ultimi due perché conoscenti del Comandante Dal Ponte, con l'incarico di felicitarsi anzitutto con lui per i successi raggiunti, e per invitarlo ad occupare la città, nel rispetto dell'ordine e della tranquillità pubblica.
A Piedicastello il Gerloni incontrò dapprima il Cap. Angeli di Brez con la sua compagnia, che gli promise, a nome del Comandante Dal Ponte, trattenuto per il momento nel suo quartiere di Cadine, di voler entrare in Trento da amici e di impedire qualsiasi disordine da parte delle loro compagnie, come di fatto avvenne.
Ancora la mattina del 20 agosto “
i Tirolesi cominciarono ad entrare in città, seguiti poco dopo dal Signor Dal Ponte Comandante di quella colonna, il quale portatosi subito dal Magistrato promise dal canto suo ogni assistenza e protezione per la tutta di Trento: fu questo il momento che si concepì a favore di esso le migliori speranze».
Si è già detto che il comportamento di qualche compagnia lasciava a desiderare e cominciava ad allarmare la cittadinanza. Un gruppo di insorti era calato inaspettatamente sui mulini di Via S. Bernardino rubando un grosso numero di sacchi di farina, che consegnarono al fornaio di Civezzano per avere del pane. La preoccupazione del Magistrato di Trento era pertanto più che giustificata. Mentre nell'insurrezione del 1796-1797 arrivavano a Trento, dal Nord, via acqua, rifornimenti in viveri e in munizioni sotto il controllo d'una efficiente organizzazione nazionale, nell'attuale insurrezione le città e le valli erano spesso sole a sostenere il pesante onere del vettovagliamento, e quando questo mancava, le compagnie si arrangiavano alla meglio, ricorrendo anche a ruberie.
AI Magistrato, il Capitano Dal Ponte, dichiarò ripetutamente di comprendere le sue preoccupazioni, lo assicurò dei suoi buoni propositi e di sentirsi onorato di assumere il comando militare della città, e diede ordini precisi per la sistemazione delle compagnie.
Si intesero immediatamente sul da farsi. Ancora nel pomeriggio apparve un proclama:
“Il Magistrato consolare trova conveniente nelle attuali circostanze di ordinare quanto segue:
1. Saranno osservate le leggi economiche e politiche costituzionali, del che ne verrà tantosto avvertito il Pubblico a scanso di equivoci
2. La polizia risiederà nel Magistrato Consolare, il quale in proposito farà osservare il codice austriaco riguardante le gravi trasgressioni politiche, il quale codice da parecchi anni a questa parte trovasi in pieno vigore.
3. Per il mantenimento del buon ordine e per la pubblica tranquillità, e specialmente per l'esatta osservanza del codice suddetto, verrà dal Magistrato eretta una guardia di sessanta o settanta persone di conosciuta probità e patriottismo, la quale sarà rispettata dalla truppa, composta dai Patrioti del paese.
4. Le porte della città saranno chiuse in tempo di notte e le chiavi resteranno in custodia del Magistrato.
5. Il Signor Comandante promette tutta l'assistenza acciò non venghino posti ostacoli ai sovracitati articoli.
Trento, dal Palazzo Civico, li 21 agosto 1809 Luigi Lupis Capoconsole
Dal Ponte Comandante»
Il Comandante Dal Ponte pose guardie alle porte della città e ai principali edifici pubblici e con la collaborazione dei Capitani Conte Sardagna, Crivelli, Zucchelli e Salvotti, da lui stesso sollecitati, organizzò ancora in giornata un gruppo di cittadini come guardia civica per la sicurezza e tranquillità della cittadinanza, cosicché già alla sera erano disponibili 6 compagnie di 50 uomini ciascuna.
Solo che i fatti non corrisposero alle speranze. Sull'imbrunire arrivarono da Pergine degli insorti con a capo il Capitano Morelli, gente eterogenea e per nulla disciplinata, che entrò in molte case minacciando le famiglie con le armi alla mano: voleva di tutto, da mangiare e da vestire, scarpe, calze, camicie, danaro, razioni di pane e di carne. Per espresso ordine del Dal Ponte intervenne la guardia civica che ebbe il suo bel da fare per contenere quella turba scatenata.
Nel frattempo il Comandante Dal Ponte svolgeva una intensa, febbrile attività. Fece appendere per le contrade cittadine un suo ordine annunziante «che nessuno debba somministrare cosa alcuna al militare, se non ha un ordine sottoscritto da esso S.r Comandante, che 'in ogni distretto debbano girar pattuglie di persone probe di notte e di giorno per allontanare i vagabondi, assassini, impedire ulteriori disordini dei malvagi, e mantenere la tranquillità; che tutte le Leggi Civili e Criminali debbano essere esercitate con l'ordinamento giuridico austriaco dell'anno 1805; e se mai in qualche Distretto non vi fosse Giudice, ne sia eletto uno provvisorio, che eseguisca gli ordini».
Di sua mana scrisse e poi fece pubblicare alcuni ordini del giorno e comunicati di informazione, come fosse lui ormai nel Tirolo Meridionale il Comandante responsabile di un Quartiere Generale. Ecco il testo di quello che porta il No 45.
“Dietro le notizie qui pervenuteci i bravi difensori tirolesi sotto gli ordini dell' Imp. Reg. Com. Sup. di tutto il Tirolo Andrea Hofer hanno il giorno 15 corrente occupato Innsbruck, dove le truppe francesi ed alliate perdettero 3000 uomini morti sul campo di battaglia e 2000 che furono fatti prigionieri. Il nemico prese una pronta fuga; ed i bravi tirolesi lo incalzarono di modo che non sapeva dove salvarsi. La nostra perdita consiste in un migliaio di uomini incirca.
Riguardo le notizie del Tirolo Meridionale le truppe francesi, che occupavano Trento, dopo un piccolo combattimento contro le compagnie della Valle d'Annone dirette dal Sig. Comandante Dal Ponte, abbandonarono non solo quella Città ma ben anche tutto il Tirolo.
Trento, li 21 agosto 1809.
Dal Ponte
Comandante nel Tirolo Meridionale.
Queste comunicazioni, il contegno deciso ed energico del Dal Ponte che manteneva ordine e disciplina nelle compagnie giudicariesi e nonese ai suoi ordini, la fermezza dimostrata contro i1 Morelli, non solo incontrarono l'approvazione del massimo consesso cittadino, ma gli accattivarono molte simpatie. Si preoccupò pure di rincuorare l'animo depresso della cittadinanza, facendo circolare copie d'una lunga pasquinata che prendeva in giro Napoleone Imperatore.
La situazione in città. tuttavia, per quei rapidi ed anche improvvisati mutamenti di comando a seconda dell'arrivo o della partenza delle truppe, non era ne chiara ne facile. Anzitutto per difficoltà economiche. II Magistrato aveva già informato il Dal Ponte che “Ia cassa pubblica era esaurita, carica oltresi di un immenso debito presso i cittadini ch'erano stati sottomessi nei mesi precedenti ad un triplice forzato imprestito».
Dove reperire allora il danaro per i1 mantenimento delle compagnie? Tra gli atti consolari c'è una breve lettera del Dal Ponte, scritta ancora i1 21 agosto, giorno dell'entrata in città: «Viene da questo Imp. Regio Comando ricercato all'inclito Magistrato di Trento che gli dia notizia se i Dazi di questa città vengono riscossi per conto di sua Maestà Bavara». In effetti, lo scalo di San Martino sul flume Adige, per l'intenso quotidiano passaggio di zattere e barche, doveva costituire una Fonte d'entrata per la città. II Magistrato rispose: «In pronta risposta al dispaccio di questo Imp. R. Comando relativo all'esazione dei Dazi, deve i1 Magistrato dichiarare di non aver giammai avuta ingerenza in tal potere, che però per quanto gli consta questo scalo di San Martino dipende come tutti gli altri Dazi del Tirolo dall'ispezione dei Dazi di Bolzano, ma che essendo questa stata abolita per ordine dell'I.R. Intendente de Hormayr, possono ora i Capi Ufficiali Daziali considerarsi in certo modo indipendenti da ogni altra carica esistente in oggi nel Tirolo. In quanto alla realtà dei Dazi potrà quest'I.R. Comando ripetere ogni opportuna cognizione dai due impiegati qui rimasti, cioè dal Capo Daziale Francesco Polidoro e dal suo controllore».
La Cassa Daziale poté fornire al comando militare 600 fiorini, come prestito. Ma il bisogno per la truppa doveva essere urgente e grande, se obbligava i comandanti ad elemosinare ogni briciola come appare da un'umile richiesta rivolta dal Comandante Dal Ponte al Magistrato: «Viene da questo Imp. Regio Comando ordinato al lodevole Magistrato di dover somministrare quattro monture complete e quattro paia di scarpe per quattro persone come richiede i1 bisogno».
C'era pur sempre una situazione difficile e precaria nel governo della città che si fece ancor più problematica quando, nel pomeriggio del 22 agosto, arrivarono da Lavis le compagnie tedesche del Torggler. Questi occupò di prepotenza il Castello ed intima alle compagnie trentine di allontanarsi dalla città e di lasciare a lui la custodia delle porte ed al riguardo fece appendere dei manifesti nelle contrade della città.
II Comandante Dal Ponte si rifiuta di obbedire, ed il Morelli poi fece strappare e bruciare i manifesti del Torggler. La situazione era tesissima tra le fazioni, ch'erano sul punto di venir alle mani. Anche il Comandante Stefano de Stefenelli da Fondo intendeva giocare un suo ruolo personale.
C'erano le compagnie del Dal Ponte, c'era quella numerosa e spregiudicata del Morelli che pretendeva d'aver anch'egli diritto al governo della città, c'era la guardia civica agli ordini del Magistrato ed ora c'era la massa bolzanina del Torggler, che proclamandosi plenipotenziario di Andreas Hofer pretendeva l'assoluto governo della città, ed un immediato contributo di 4000 Fiorini: in tutto, una massa di oltre 8000 armati, animati da interessi contrastanti, occupava la città.
Per il momento prevalse l'azione del Dal Ponte che in un incontro di capi, con l'appoggio del Magistrato Consolare e dei capitani tedeschi, obbligò il Morelli, dietro un compenso di 200 fiorini e il fornimento di alcuni indumenti per la sua compagnia, a ritirarsi verso Pergine.
II Magistrato espresse riconoscenza al Dal Ponte per questa azione, e gli offerse 200 “crocioni», talleri con la croce, con la promessa anche d'una divisa nuova da Ufficiale Comandante.
Preoccupava il Dal Ponte il fronte Sud, sprovvisto di difesa dopo la ritirata dei Francesi. Capiva che la cittadinanza non poteva vivere sotto l'incubo di un probabile ritorno dei Francesi. Con danaro ricevuto dal Magistrato accontento le richieste di alcuni suoi reparti con l'acquisto di vestiario e di scarpe che ovviamente non era facile trovare a Trento e li fece marciare su Rovereto dove sperava di fornirli meglio.
Nel frattempo, la brigata del Colonnello Francese D'Azmayr, che il 22 e il 23 agosto si era ritirata oltre Ala, entro il vecchio confine di Verona, fece un improvviso dietrofront, rinforzata d'un battaglione di 300 soldati bene armati ed esperti di guerriglia, e risalì la vallata dell'Adige rioccupando il 24 agosto Rovereto. II giorno dopo era a Castel Pietra, dove si scontro con i reparti degli insorti. I Francesi disponevano di due nuovi cannoni, che dall'alto del colle sparando, “facevano paurosamente rintronare le montagne circumvicine».
II Dal Ponte, a Trento, stava lavorando per trovare un accordo con i comandanti tedeschi ai quali non andava a genio la presenza in città della Guardia Civica. Quando fu informato del ritorno dei Francesi, interruppe le trattative, partì con le altre compagnie delle Giudicarie e della Rendena verso Villa Lagarina marciando sulla sponda destra dell'Adige. I Francesi temettero allora d'esser tagliati fuori e si ritirarono in fretta a Volano e sulle colline di Rovereto. Nella tarda sera del 28 agosto il Dal Ponte inviò la seguente missiva al Civico Magistrato di Trento:
“Arrivato in questo momento in Calliano e alla Pietra rilevai che la truppa e compatta ed assomma a 550 uomini circa, ma rilevai anche che questo Comune e mancante di pane, carne e che si trova nell'impossibilità di poter supplire. Quindi di bel nuovo la rappresentanza comunale di Calliano rinnova a codesto Magistrato domanda acciò che sul fatto spedisca costà in Calliano Pane e Carne. Riconoscendo anche il Sottosegnato giusta la domanda della Comunità di Calliano e perché la truppa, per mancanza di viveri, non si debba ritirare ed abbandonare l'importanti posizioni della Pietra, vien ordinato a quel Magistrato Consolare di inoltrare senza perdita di tempo i necessari comestibili. A tal fine viene spedito i1 Tenente Colombi esibitore della presente. Si raccomanda.
Calliano, n 28 agosto 1809, alle ore 10 1/2 di notte, Dall'Imp. Regio Comando del Tirolo Italiano
Dal Ponte
Campi I.R. Capitano e Com.te Posto. P.M. Dimani, a mezzo giorno, con la mia compagnia non dubito di essere in Rovereto»
E questa fu la risposta:
“al Comandante Dal Ponte.
Questo Magistrato Consolare non può desistere dalla resoluzione già ieri partecipata al Sign. Conte Martini, Sindaco di Calliano, sopra la ricerca di viveri da lui fatta con le compagnie in Calliano esistenti; giacché ogni comune deve somministrare nel suo distretto l'occorrente e Trento, come ben sa il Sign. Comandante, stenta e deve fare ogni possibile sforzo per supplire al bisogno delle numerose truppe che passano per di qui. II Sign. Comandante conosce l'impegno che la città ha sempre dimostrato in questo punto ed Egli ne ha di queste nostre attenzioni le più sicure testimonianze.
Trento, 11 29 agosto 1809 Luigi Lupis Capoconsole”
Fu giocoforza guardare al Sud e muoversi in quella direzione, nella speranza di trovare li gli aiuti necessari, magari impossessandosi dei magazzini delle truppe francesi.
Fu in questa circostanza che ancora una volta il Dal Ponte intuì ed organizzo audacemente uno dei suoi colpi da guerrigliero. Progettò di bloccare la truppa del Gen. D'Azmayr tra Rovereto e Marco, tagliandogli la ritirata verso Verona ed obbligandolo alla resa.
Dopo aver dato ordini al Capitano Garbini di trovarsi il giorno dopo con i suoi uomini davanti a Serravalle, scese nella notte con i bersaglieri lungo la sponda destra dell'Adige, e lo attraversò a Sud di Mori. Distribuì i suoi uomini sulle alture di Marco, alla località Varini, lungo la strada che da Rovereto scende verso Ala. Fece loro scavare sicure trincee dove sistemarsi al momento dell'attacco ed inoltre più a Sud, a Serravalle, fece aprire una grande fossa attraverso la strada, per bloccare o almeno rallentare il passaggio delle artiglierie francesi.
Il 29 agosto il Gen. D'Azmayr ritenne insostenibile la sua permanenza a Rovereto e decise di ritirarsi verso Ala. Nelle vicinanze di Marco, le truppe francesi si trovarono sotto il tiro micidiale dei fucilieri del Capitano Dal Ponte, bene trincerati sulle collinette circostanti. La colonna Francese si difese alla meglio, subì perdite rilevanti e accelerò la marcia verso il Sud. Solo che a Serravalle si trovò nuovamente bloccata dalla fossa e dovette arrestarsi mentre gli zappatori lavoravano a riempirla. Nel piano ideato dal Cap. Dal Ponte questo era il momento in cui i bersaglieri del Cap. Garbini dovevano intervenire e dalla sponda destra dell' Adige tenere sotto il loro Fuoco la colonna Francese. Purtroppo il Garbini disponeva in quel momento soltanto di 16 uomini, alcuni dei quali, per gli avvicendamenti avvenuti, erano soldati frettolosamente addestrati e avevano perfino difficoltà a ricaricare i fucili. Fu perciò aspramente accusato di non esser stato all'altezza delle sue responsabilità e di aver lasciato praticamente solo il Dal Ponte; diversamente tutta la colonna Francese sarebbe stata fatta prigioniera o ridotta a mal partito.
Dalle colline di Marco a Serravalle, la battaglia durò due ore ed i Francesi persero circa 40 uomini tra morti e feriti. Fu colpito anche uno dei cavalli che tirava la carrozza dello stesso Generale, tanto che la dovettero abbandonare. Recuperata poi dai bersaglieri del Dal Ponte fu condotta a Rovereto come trofeo di vittoria.
II Gen. D'Azmayr riuscì a disimpegnarsi facendo intervenire i cannoni a mitraglia e i suoi fucilieri e si spostò rapidamente verso il Sud, fino al Vo' d'Avio, sempre tallonato dai bersaglieri.
Ai comandanti tedeschi lo scontro di Serravalle parve uno scacco e ne incolparono il Dal Ponte. Egli, disgustato di queste critiche, dopo aver ribattuto che loro non avevano mosso un dito per aiutarlo, e che erano restati comodamente nelle retrovie a guardare, tornò a Trento lasciando il comando delle sue compagnie acquartierate ad Ala al Capitano Campi. II Magistrato lo accolse da amico, con effusione sincera, perché in quel momento si trovava oppresso dalle pretese del Luogotenente Torggler e dalle minacce di un nuovo sedicente plenipotenziario di Andreas Hofer, il Colonnello Mohr, ch'era arrivato il 26 agosto con una nuova schiera di combattenti pieni di prepotenza e aveva intimato al Magistrato di consegnargli 10.000 fiorini. La confusione era al massimo. II Dal Ponte si lasciò convincere a restare al comando; accettò dal Magistrato una bella divisa di comandante generale, rientrò ad Ala concentrandovi un forte gruppo di compagnie trentine, oltre 20, ed inviò il Capitano Garbini a presidiare Riva del Garda con 800 bersaglieri.
Purtroppo, tra i comandanti regnava una fredda, profonda rivalità che si manifestava in atti discordi, stupidamente invidiosi. A differenza dell'anno 1796, in cui una Deputazione di difesa coordinava energicamente le operazioni delle compagnie lungo il confine, nel 1809 faceva difetto il comando, che emanava si da un consiglio di guerra con sede a Bressanone, ma era formato da gente impreparata o ignara di azioni guerresche.
La rivalità non era soltanto fra capitani trentini e tedeschi. Anche tra i tedeschi le discordanze erano forti. II Colon. Mohr, due giorni dopo fu destituito da ogni grado e da ogni comando dagli altri comandanti tedeschi e allontanato dalla città.
Era un momento particolarmente difficile e di crisi. Mancava ordine tra i 20.000 insorti. In quell'ammasso improvvisato di armati, spesso sprovvisti di cibo e di munizioni, la confusione degenerava talvolta in forme di prepotenza e saccheggi. Ciò che mancava era la mana di un uomo forte, come appare da un curioso proclama dello stesso rappresentante del comandante supremo A. Hofer.
«In seguito al dibattito chi sia e resti veramente il Comandante Supremo, tutti i comandanti si sono dichiarati d'accordo che il Signor Jakob Torggler, unico inviato e plenipotenziario del Supremo Comandante Andreas Hofer, ha il comando supremo, anche se i Signori Stefenelli, Joseph Schweiggl e Dal Ponte, Sottocomandanti e Maggiori della regione, si oppongono al fatto di doversi attenere agli ordini del comando supremo; resta però loro concesso di esaminare indipendentemente ciò che torna a vantaggio della difesa e dell'utilità della patria.
Ciò viene comunicato al Pubblico per sua conoscenza e tranquillità
Rovereto, 1 settembre 1809
Jakob T orggler
Comandante Supremo del Tirolo Meridionale.»
Si capisce che l'autorità del Torggler era più che altro sulla carta e che anch'egli non si raccapezzava più in quella ingrovigliata situazione.
II Dal Ponte pare non sia stato impressionato da questo comunicato che era anche per lui un richiamo all'ordine. II giorno 3 settembre tornò da Ala a Trento, per fare una visita al Magistrato e farsi vedere con la divisa di vero Ufficiale - quella che gli era stata regalata - e con una sciabola, che disse di aver levato ad un ufficiale Francese ucciso. A conoscenza che Andreas Hofer all'indomani sarebbe arrivato ad Egna, consigliò il Magistrato ad inviargli una deputazione ed a chiarire direttamente con lui il grave problema d'un unico comando nel Tirolo Meridionale.
Andreas Hofer, da parte sua, informato a Bolzano della situazione, pensò di porvi rimedio sostituendo il Torggler e nominando il 4 settembre, come vicecomandante per il Trentino, Giuseppe de Morandell di Caldaro,' con il seguente proclama:
«Dilettissimi tirolesi italiani! Cari compagni d'arme! Sento con dispiacere che voi foste trattati assai malamente dalle mie truppe.
Io vi dirigo ora, miei cari e bravi connazionali e fratelli d'armi, un proclama, affinché i veri benintenzionati sappiano per l'avvenire, e con mostrare questo ordine, mettersi in guardia contro i malintenzionati.
II mio cuore sincero, che con voi tutti pensa lealmente e rettamente, aborrisce le orde dei ladri e i saccheggi, aborrisce le requisizioni e le contribuzioni ed ogni specie di dispiacere e di pretensione verso coloro, che portano il peso dei quartieri; nessuna di queste vili azioni trova luogo nel mio cuore patriottico ...
Inoltre faccio io pubblicamente nota a tutte le comunità, borghi, ville ed alle mie truppe, che, siccome sono nati tanti disordini, attesi i molti comandanti che si sono da se stessi intrusi senz'autorizzazione alcuna; ora in assenza del sottoscritto e stato nominato il signor Giuseppe de Morandeli di Caldaro nel Tirolo Meridionale in qualità di comandante legittimo ed autorizzato; ed in conseguenza di non prestar fede a nessun proclama, ordine, disposizione, o a qualunque altro comando, se questi non sono sottoscritti dal sunnominato signor Giuseppe de Morandeli , ovvero dal sottosegnato comandante superiore.
Bolzano, Ii 4 Settembre 1809
Andreas Hofer”
La realtà era che non solo nelle compagnie trentine si erano infiltrati elementi facinorosi, intenti facilmente a rubare e a saccheggiare, ma anche il comportamento dei combattenti legati ad Andreas Hofer era spesso intollerabile, perché entravano frequentemente nelle botteghe dei paesi occupati o nelle case dei più benestanti e si facevano consegnare quello che desideravano senza pagare. II servizio logistico funzionava a stento e male.
Sintomatico fu lo scontro all'inizio di settembre a Riva del Garda tra la compagnia del Capitano Chesi, che con il Garbini teneva il comando della piazza, ed una compagnia di Bolzanini che pretendevano d'averla loro. Era una mossa del comandante tedesco che mal tollerava l'autonomia instauratasi nei reparti trentini. Si minacciò di ricorrere alle armi, ma fortunatamente i Bolzanini cedettero e qualche giorno dopo se ne partirono.
II Dal Ponte non aveva risparmiato critiche al comando tedesco, nel quale vedeva grosse carenze di capacità e d'energia. Si sentiva ora abbastanza forte, non solo perche disponeva di alcune compagnie Fedeli e bene disciplinate, ma anche perché nella popolazione del Tirolo Meridionale trovava consensi ad un'azione personale di governo.
Decise allora di assumere personalmente il comando di tutto il Tirolo Italiano sottraendolo al poco popolare dominio militare tedesco. Ad Ala e dintorni, su posizioni ben scelte, aveva sistemato oltre 20 compagnie di bersaglieri e da Ala, il 16 settembre pubblico il seguente proclama:
AVVISO
“Vedendo tanti disordini, cagionati nel Tirolo Italiano pel motivo che alcuni comandanti si sono qui introdotti per soggiogare il vostro amatissimo e fedelissimo comandante superiore Dal Ponte, e per aggravare questo povero Tirolo Italiano, ma non per difendere la patria, quindi trovasi questo comando in dovere di ordinare a tutte le città, borghi e villaggi del Tirolo Italiano di non riconoscere verun comandante superiore se non che il Dal Ponte, e di non fare somministrazione alcuna se non verrà firmata dal sunnominato.
Ricordatevi, o cari miei fedelissimi Tirolesi italiani, che il Dal Ponte vi accerta sulla parola d'onore, che non ha preso l'armi per soggiogarvi, ne per opprimere le vostre sostanze, ne per sturbare la quiete del Tirolo, ma solamente per difendervi da quelli che non cercavano se non di derubarvi le vostre sostanze, la santa religione, e perfino la vita medesima. Di più vi promette che colla sua autorità saprà difendervi e far rispettare le vostre persone, case e sostanze, quali tutte verran rispettate sintantoché il Dal Ponte avrà questo comando.
Orsu dunque, Tirolesi italiani, il Dal Ponte vi invita a prestare tutta l' assistenza per la difesa della patria, non che d'eseguire con prontezza qualunque ordine che da questo Comando vi venisse spedito.
Dall'I. R. Comando ai confini d'Italia.
Dal quartier generale di Ala, li 16 settembre 1809. Per mettere ordine e controllare quei gruppi eterogenei e senza disciplina che tormentavano il paese.
Dal Ponte”
Era un atto coraggioso e generoso per salvare dal caos la regione.
Chi rilegge il testo con attenzione, avverte bene il clima drammatico del momento. Era una sfida anche. Per la prima volta nella storia della terra trentina si affermava un'esigenza di difesa e d'amministrazione autonoma.
II proclama allarmò fortemente i comandanti tedeschi di Trento e Rovereto che ordinarono ai loro soldati di toglierlo dalle cantonate, e siccome corse voce che il Dal Ponte fosse in marcia su Trento, disposero un cordone di armati lungo il Fersina. Inviarono poi della truppa a Rovereto con l'ordine di disarmare gli ufficiali del Dal Ponte durante una sua obbligata assenza. Infatti decisero di sbarazzarsi di lui mediante un tranello al1ontanandolo dal1a sua truppa, perché sapevano ch'era da questa assai stimato. Per mezzo di una staffetta, la mattina del 19 settembre gli spedirono una lettera con tutta premura, dove si dichiaravano d'accordo nel lasciargli il comando del Sud, dovendosi loro ritirare a Bolzano; lo avvertivano che una colonna Francese stava per forzare il passo del Tonale e che perciò doveva recarsi immediatamente a Trento a presiedere un consiglio di guerra e prendere le necessarie decisioni per la difesa di quel passo.
Qui il Comandante Dal Ponte cadde nella trappola. L'Andreis, suo contemporaneo, gli rimproverò d'aver accettato immediatamente l'invito ed essersi portato a rotta di collo a Trento, senza cautelarsi maggiormente; secondo lui, in coerenza con il proclama, sarebbe dovuto restare nel quartiere generale di Ala e pretendere che gli altri comandanti si recassero da lui. Solo che il Dal Ponte non era un machiavellico. Era un valligiano combattente, capace di slancio e di ardimento quando si trattava di un'operazione bellica. In quel frangente non era all'oscuro di quanto avveniva oltre i1 confine della Chiusa di Verona, dove i1 Generale Peyri stava allestendo un'armata per invadere i1 Tirolo, perché, come si è visto, aveva anche lui i suoi informatori. Pertanto riteneva possibile che i1 Tonale fosse per primo minacciato.
Arrivò a Trento ancora la sera, accompagnato dal Cap. Garbini e da una scorta di soli tre uomini. Con i1 suo aiutante prese alloggio all'albergo Europa, e lì venne arrestato da un grosso picchetto di bersaglieri tedeschi su ordine di Torggler e de Morandell: un misero gesto, che tolse di mezzo un comandante capace e coraggioso in un momento delicatissimo.
Era i1 20 settembre 1809. Fu disarmato e condotto prigioniero al Castello del Buon Consiglio. “Qual fosse la di lui sorpresa a questa improvvisata – commenta lo storiografo Andreis - ed insieme i1 di lui avvilimento è facile pensarlo».
La sua cattura suscitò stupore e sbigottimento. Come mai un comandante abile, coraggioso ed onesto, che viveva la vita da campo dei suoi subalterni, veniva arrestato come traditore?
II comando tedesco paventò la reazione degli ufficiali e dei combattenti delle numerose compagnie agli ordini del Dal Ponte, temette effettivamente una loro marcia su Trento.
Già nella notte venne posto un nuovo picchetto di soldati sul ponte della Fersina, a Sud di Trento, per timore che arrivassero le compagnie del Dal Ponte a chiedere conto del loro Comandante. Giunsero, il giorno dopo, a Rovereto alcuni suoi ufficiali e furono disarmati non senza difficoltà.
II Garbini, avvertito in tempo, riuscì a sfuggire al picchetto che doveva arrestarlo e riparò a Riva del Garda. Coli venne inviato dal Comandante Torggler il Capitano Angeli di Brez, con 60 uomini, per arrestarlo. II Garbini non oppose resistenza, si arrese il 24 settembre e fu condotto a Trento e quindi a Caldaro, dove era già arrivato prigioniero il suo Superiore Dal Ponte. Da lì via Merano, tanto il Dal Ponte che il Garbini, vennero accompagnati ad Innsbruck e imprigionati nella torre detta “Kräuterturm” in attesa del processo.
Per cinque giorni i bersaglieri del Dal Ponte rimasero tra Ala e Rovereto, incerti ed amareggiati, in attesa di comunicazioni. E quando seppero che i loro ufficiali erano stati disarmati a Rovereto alcune compagnie si sciolsero abbandonando il fronte Sud e, per il ponte di Villa Lagarina, s'avviarono a gruppi verso casa, parte verso Riva e parte lungo la sponda destra dell'Adige, per non incontrarsi con i reparti tedeschi appostati sulla Fersina. Altre restarono in attesa degli eventi in quel di Avio.
Il comando Francese a Verona, ricevuto l'ordine di Napoleone di rimontare l'Adige da Sud, mentre altri eserciti puntavano su Innsbruck e su Bolzano, raccolse verso la Chiusa di Verona un'armata di 8.000 soldati, con mezzo squadrone di cavalleria e 9 pezzi di artiglieria, al comando del Gen. Peyri. Questi, informato che al fronte diverse compagnie si erano ritirate, entrò con decisione nel Tirolo su tre colonne. Ad Avio disperse con facilità le compagnie dei bersaglieri che abbandonarono viveri, salmerie e feriti. Marciando sulla sponda destra dell'Adige raggiunse Rovereto il 27 settembre e al 28 investì Trento, dapprima con la cavalleria e poi con squadre incaricate di fucilare chiunque incontravano armato. Fu un giorno di terrore per Trento. Sul ponte di San Lorenzo si fucilarono prigionieri buttandone i cadaveri nell'Adige, e Lavis, estremo limite raggiunto, fu occupata e abbandonata al saccheggio della soldatesca.
Nel frattempo, ad Innsbruck, Josef Daney , sacerdote e padre cappuccino, confidente e consigliere di Andreas Hofer, interponeva una sua mediazione e raccomandazione in difesa del Dal Ponte. Ma Andreas Hofer non volle ascoltarlo: da quanto gli era stato comunicato, i due prigionieri Dal Ponte e Garbini erano in pessima luce, erano solo dei mascalzoni: «Non parlatemi di simili mascalzoni: sono stati giustamente tolti di mezzo, hanno tormentato già troppo a lungo i Trentini. Che Comandanti sono costoro che sanno soltanto derubare la gente?
Farabutti sono! Io non li ho fatti comandanti»
Non era questa l'opinione del Magistrato di Trento e nemmeno quella dello Hormayr, il Cornmissario aulico dell'Imperatore. Per lui il Comandante Dal Ponte era “der Vorzüglichste an militärischen Einsichten und Bravour, il migliore per capacità militari e coraggio, anche se non gli riuscì per sua stessa confessione tenere a freno quelle compagnie di volontari, formate in gran parte da disertori e sfaccendati che miravano principalmente a riempire i loro vuoti sacchi nelle località italiane lungo il confine”
Indubbiamente, nel mese di prigionia il Dal Ponte visse il periodo più drammatico della vita: da uomo d'azione, onesto e assai sbrigativo, alieno dagli intrighi d'una politica insidiosa, avvertì profondamente la amarezza del tradimento e il crollo d'un ideale, per il quale aveva lottato da quindici anni. Le sue proteste per il momento non trovarono ascolto. Quando i Franco-bavaresi del Gen. Drouet, il 25 ottobre, riconquistarono Innsbruck e apersero immediatamente le porte delle prigioni facendo uscire tutti i detenuti, i due trentini, Dal Ponte e Garbini, si trovarono inaspettatamente a piede libero. II Garbini sfrutta le prime ore di libertà per raggiungere la Svizzera, convinto che più tardi l'autorità franco-bavarese gli avrebbe dato filo da torcere, mentre il Dal Ponte, forte della sua onestà di combattente patriota, decise di tornare in patria, non si sa con quali propositi. Certamente sulla via del ritorno ebbe modo di osservare i grossi contingenti franco-bavaresi che dilagavano vittoriosi in ogni valle, nota la stanchezza e il crescente scoramento delle popolazioni, spossate, stordite dal peso della lunga insurrezione. Forse ebbe altre notizie, contraddittorie e deludenti sul comportamento del Comandante Supremo A. Hofer. Comprese comunque che per il momento le sorti della resistenza erano disperate e preferì beneficiare dell'amnistia proclamata dal Vicere d'ltalia, Eugenio Beauharnais, come appare dallo scritto del Generale Vial, inviato il 12 novembre dal quartiere militare di Bolzano al Colonnello Gavotti, comandante della piazza di Trento:
“••• II disarmo procede senza resistenza ... gli abitanti rientrano nelle loro case e ci mostrano della confidenza. Voi mi notificaste che il nominato Dal Ponte e il Conte Spaur sono venuti a fare presso di voi degli atti di sommissione ... “.
Fin dal primo giorno del suo ritorno da Innsbruck il Dal Ponte ebbe l'ordine dal Comando Francese di Trento di non allontanarsi dalla sua abitazione, in Campo Minore, che per la sola distanza d'un quarto d'ora di strada: era agli arresti domiciliari.
II 29 dicembre fu chiamato a Trento dal Comando Militare per sentirsi intimare “di dover senza perdita di tempo sborsare 6000 fiorini in pagamento della carrozza ed equipaggio tolti il 29 agosto al Generale d'Azmayr fra Rovereto e Ala da lui e dalla sua gente»
Non si conosce l'esito dell'ingiunzione; probabilmente non paga nulla, perche era nullatenente. Tra gli atti della Direzione Generale della Polizia milanese c'è scritto a suo riguardo: “vive in circostanze finanziarie rovinose”. Evidentemente dalla guerra non aveva tratto alcun profitto, se perfino nel momento più fortunato della sua carriera il Magistrato di Trento gli aveva “regalato” la divisa da ufficiale in riconoscenza delle sue prestazioni.
II 17 gennaio 1810 fu condotto nuovamente a Trento e rinchiuso alcune ore in carcere perché nei giorni precedenti si era recato a Riva del Garda per affari personali senza i1 debito permesso. Ma non avendo trovato altro addebito, il giorno seguente i1 Comando lo rimise in libertà dopo un nuovo ammonimento.
Da allora in poi non fu più molestato, così almeno dice la cronaca. Aveva lasciato la residenza del Castello delle Spine ai fratelli, per abitare a Campo Minore dove restò alcuni decenni; poi passò a Fiave, paese della moglie. Per il servizio svolto gli eran già stati assegnati dal Governo di Vienna due pubblici riconoscimenti, la grande medaglia d'oro al valor militare ed una pensione a vita. Ora gli restava la serena coscienza di aver fatto quello che riteneva il suo dovere: aver combattuto con tanti altri pro aris et focis, per Dio e per la Patria.
Vi sono ancora due note interessanti che lo riguardano, la prima di un avversario e la seconda di un amico. In data 10 agosto 1810, il Barone Sigismondo de Moll, primo Commissario Amministrativo del Regno d'Italia a Trento, scriveva, su richiesta, al Ministero degli Interni in Milano:
«Dal Ponte Bernardino, d'anni 38 di Vigo Lomaso nelle Giudicarie, ammogliato con una figlia, notaro e scrivente criminale (cioè cancelliere o scrivano penalista N.d.A.), circostanze finanziarie rovinose, di carattere rissoso ed iracondo, fra i capi briganti però era quello che manteneva più buon ordine e disciplina. Condotta politica pessima, morale sufficiente, si eresse da se in comandante supremo del Tirolo Meridionale, ma non fu riconosciuto in tale qualità dagli altri capi e da Andrea Hofer. Ora sembra quieto e pentito, abita presentemente a Campo Minore, godendo di qualche credito nella plebe, potrebbe essere ancora pericoloso se le circostanze gliene dessero l'occasione”
Non è un giudizio del tutto lusinghiero, scritto da un amico; ma espresso da un avversario, lo diventa.
L'altra nota è di un intelligente e leale Sacerdote conterraneo, molto preciso nei suoi scritti, il quale ci presenta il Dal Ponte in età avanzata, nel 1852, a grande distanza dagli avvenimenti narrati; è una pagina che getta un fascio di luce determinante per comprendere la personalità e le intenzioni di questo Comandante.
«Questi due ultimi - il Capitano Dal Ponte e il Capitano Merighi li conobbi pure io ed ai loro dì si mostrarono audacissimi, e spesso diedero che fare ai francesi, a cui portavano un odio cordialissimo, che punto non si spense nella loro tarda ed, in cui solamente io imparai a conoscerli, e dalla loro bocca ho sentito il racconto delle loro belligere avventure giovanili. Bastava loro ricordare i francesi, perche si vedessero quei due vecchi rianimarsi, quei loro occhi tornavano a scintillar di fuoco, e si rizzavano un'altra volta i loro dorsi un po' ormai curvi, e le loro labbra tornavano a fremere. Dal Ponte nel 1852, incontrato da me sulla via di Rotte, essendo caduto il discorso sul colpo di stato eseguito dal famigerato Napoleone terzo e, sulle paurose cose che si temevano da tutta l'Europa dalla Francia in quei di, Dal Ponte il Capitano dico, l'ho veduto accendersi contro di essi francesi con tanto calore, e vigoria d'animo che dando un passo indietro, e tutto brandito stringendo i pugni dicea fremendo: Codesti francesi sono sempre lì a voler la gherre, la gherre! Le dico, Signore, che se avessi soltanto vent'anni meno, mi sentirei i1 fegato anche adesso di misurarmi un'altra volta, con quegli stomacosi franciosi che non lasciano in pace i1 mondo»
Non ci è restato un ritratto della sua persona. E’ possibile abbozzare invece un ritratto morale, sulla base di quanto egli fece e disse. Il lettore, alla fine di questa narrazione, vedrà nel Dal Ponte i tratti caratteristici di un uomo del popolo, che a capo di un movimento di resistenza schiettamente popolare opera in base al buon senso. con la fierezza del montanaro che difende ciò che e suo, deciso e coraggioso fino alla temerarietà, capace di guardare per primo in faccia al nemico, ricco di inventiva, geniale nel trovare una soluzione ed una via d'uscita nelle azioni dei suoi uomini che mai buttò allo sbaraglio; di carattere tenace e, se pur portato ad eccessi di collera, dall'animo retto e profondamente religioso, alieno da ogni demagogia, di salute ovviamente robusta come lo dimostra la sua longevità: una limpida figura di combattente, uno dei capi più rispettati.
Sulla morte di Bernardino Dal Ponte c'è ancora un breve cenno di don Carli, Decano di Tione, nelle sue “Note interinali», a pag. 83: “Il Capitano Dal Ponte da Castel Spine di Lomaso, ardito guerillatore contro i francesi da principio di questo secolo. Visse assai, morì il 1860, a Fiavè, con esempio assai edificante»
Prima di morire ebbe comunque la soddisfazione di leggere, certamente con qualche commozione, quanto nell'anno 1851 pubblicava la “Tiroler Schützen-Zeitung» di Innsbruck, per la penna del Dr. Schönherr, direttore responsabile della rivista. Sotto i1 titolo “Galerie denkwürdiger Verteidiger von Wälschtirol», elenco dei difensori degni di memoria del Tirolo Italiano, sono indicati 17 comandanti del periodo 1796-1809 e l'autore dichiara che le notizie riferite a loro riguardo «sono attinte da fonti sicure e vorrebbero essere un contributo per scrivere una vera storia del popolo tirolese, nella quale la fedetà. e i1 valore dei padri possano ricevere la lode che meritano».
Nella narrazione precisa e particolareggiata, in sedici capitoli, rivivono i nomi dei Capitani Marco Zanini di Fiave, Campi Giuseppe di Cles, Giovanni Battista Sartori di Casotto (Caldonazzo), Ambrosio Villa di Villa Lagarina, Piazza Cristoforo di Ossana, Francesco Vecchietti di Male, Marco Zorzi di Stenico, Gironimo Bauernfeind di Trento, Giuseppe Betta di Trento, Giovanni Carlo Guella di Riva, Francesco Dalla Rosa di Pergine, Giovanni Battista Tecini di Sarnonico, Christian Banal di Roncogno, Domenico Rocchetti di Trento, Galvagni Carlo di Villa, Bernardino Guglielmi Dal Ponte che i1 sottotitolo definisce: «ein wackerer Wälschtiroler»), un coraggioso tirolese italiano.